BASILEA 2 : OCCORRE ADATTARE LE REGOLE AL SISTEMA ITALIANO

Luigi MeiCredito

Secondo la Cna i criteri di Basilea 2, l’accordo sui requisiti patrimoniali delle banche, ostacolano l’accesso al credito per le piccole imprese. Nella pratica, le modalità con cui sono stati introdotti i criteri di Basilea 2, hanno reso più difficoltoso e oneroso l’accesso al credito per le imprese minori, ossatura del sistema imprenditoriale italiano. Per questo occorre venire incontro con urgenza al problema finanziario delle piccole e medie imprese, valorizzando il ruolo delle associazioni di categoria e del sistema dei Confidi, modificando “i requisiti patrimoniali delle banche e rendendoli più flessibili, per impedire che il credito, per le aziende che lo meritano, si riduca proprio nei momenti più difficili”. Sono queste alcune delle proposte congiunte avanzate da CNA, Confcommercio-Imprese per l’Italia, Confartigianato, Confesercenti e Casartigiani, le associazioni del cosiddetto Patto del Capranica (costituito nel 2006 contro la politica fiscale del governo,  nel corso di un’audizione alla VI commissione finanze della camera.
“Basilea 2  – ha detto il Presidente Nazionale CNA, Ivan Malavasi durante l’audizione – nasce avendo come riferimento un sistema di imprese strutturate e di medio-grande dimensione, quali quelle che prevalentemente operano nei sistemi economici di matrice anglosassone. Il sistema imprenditoriale italiano, viceversa, presenta caratteristiche completamente diverse che male si adattano a sistemi standardizzati di valutazione del merito di credito. Questa specificità è facilmente desumibile dalla distribuzione delle imprese per forma giuridica. Le imprese individuali sono oltre 2,8 milioni e rappresentano il 64,7% del totale, mentre il 18,8%, pari a oltre 822 mila imprese, è costituito da società di persone”.
“E appena il caso di ricordare -  ha aggiunto Malavasi -che i finanziamenti alle imprese fino a 19 addetti al 31 ottobre 2009, secondo la Banca d’Italia erano pari a circa 164 miliardi di euro su un totale di circa 888 miliardi. In pratica il 18% del totale e, di conseguenza, molto al di sotto della quota di contributo al Pil di questo segmento di imprese”.

Secondo le cinque associazioni “nella sostanza l’imprenditoria di tipo personale costituisce l’’83,50% delle imprese italiane. Per questi soggetti non c’è distinzione tra patrimonio personale dei soci e patrimonio dell’impresa, per cui risulta strutturalmente difficile individuare criteri oggettivi/quantitativi di valutazione del merito del credito. Ciò implica un approccio diverso di valutazione del merito di credito rispetto alle società di capitali, diversamente strutturate”.

In sostanza, sottolineano CNA, Confcommercio, Confartigianato, Confesercenti e Casartigiani, “le attuali regole premiano i valori di bilancio, dal fatturato al cash flow e questo penalizza le aziende che, pur avendo chiuso il 2009 con i conti in rosso, continuano ad avere prospettive di crescita”.

“In quest’ottica – hanno aggiunto – è necessario valorizzare il ruolo delle associazioni di categoria e del sistema dei Confidi che, condividendo il rischio di credito delle imprese da loro garantite, sono in grado di contribuire a una corretta valutazione da parte delle banche del merito creditizio dell’impresa, grazie a «una consolidata conoscenza one-to-one, frutto di un rapporto privilegiato sul territorio di competenza, maturato nel tempo”.

E’ indispensabile inoltre, hanno continuato le associazioni, “rendere flessibili i requisiti patrimoniali delle banche, calibrandoli in senso anticiclico, per evitare che si riduca il credito alle imprese sane nei momenti più critici” e “introdurre trattamenti fiscali che favoriscano l’apporto di capitale nell’impresa da parte degli imprenditori, contribuendo così al miglioramento degli indici patrimoniali e di solvibilità» dell’impresa stessa. Una delle proposte avanzate dalle associazioni riguarda, infine, il Mezzogiorno, dove difficoltà di accesso al credito, fragilità patrimoniale dei confidi, elevato costo del denaro, forte incidenza del fenomeno dell’usura, che penalizza la piccola e media imprenditorialità, sono ancora più accentuati che nel resto d’Italia”.

“Si pone quindi l’esigenza – hanno concluso – di un intervento articolato e organico a vari livelli per consentire alla piccola e media impresa del Mezzogiorno di colmare i divari competitivi rispetto ad altre realtà”. 

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