Malavasi, è allarme chiusura. Opportuna una diversa tassazione degli utili non distribuiti

Davide RossiCna Nazionale

Le previsioni per l’economia italiana, diffuse la settimana scorsa, prospettano una diminuzione del pil di 5,3 punti percentuali nel 2009 e confermano le preoccupazioni che la nostra confederazione ha espresso alle istituzioni nazionali e locali nei mesi scorsi». Il presidente della CNA, Ivan Malavasi, non nasconde i timori su una crisi che, dati alla mano, sembra non avere ancora raggiunto la massima intensità.
Domanda. Le principali istituzioni finanziarie, dalla Bce al Fmi, stimano che la crisi raggiungerà il suo culmine quest’anno, per poi lasciare il posto nel 2010 a una lenta ripresa. Quali sono, a suo parere, le prospettive per il nostro paese?
Risposta. La caduta della ricchezza prodotta comporterà un drastico aumento del deficit rispetto al pil (6% nel 2010) e del debito pubblico che potrebbe superare il 115% alla fine dell’anno, per poi avvicinarsi alla soglia del 120% nel 2010. Si tratta di dati che, facendo arretrare il nostro paese di quindici anni in pochi mesi, vanificano i sacrifici imposti dalle tante leggi finanziarie che .si sono susseguite dal 1992. In questa situazione siamo portati a valutare con grande cautela i segnali di una possibile ripresa emersi nelle ultime settimane. Il moderato recupero della fiducia di famiglie e imprese e il ritorno delle economie emergenti su un sentiero di crescita giungono infatti dopo quattro mesi in cui la produzione industriale ha registrato le perdite più profonde dal secondo dopoguerra. Solo in aprile l’indice ha registrato una perdita prossima ai 25 punti percentuali rispetto allo stesso mese del 2008.
D. La crisi si è abbattuta con particolare violenza sulle piccole e medie imprese. Quali sono i risvolti sull’occupazione?
R. In questo momento la nostra apprensione è rivolta sia ai tempi necessari per recuperare i livelli di produzione perduti sia, soprattutto, ai rischi relativi a un ulteriore deterioramento del mercato del lavoro. Alla diminuzione del numero di occupati . segnalata dall’Istat per il primo trimestre (-204 mila, pari a un-0,9% rispetto a una anno fa), che è la prima da 14 anni, potrebbe infatti seguire un più forte aumento del tasso di disoccupazione nei prossimi mesi. Le piccole imprese, che noi rappresentiamo, hanno finora cercato di salvaguardare gli organici anche grazie all’intenso ricorso agli strumenti di sostegno al reddito, il cui utilizzo è cresciuto del 500% nel periodo gennaio-aprile. La loro capacità di tenuta potrebbe esaurirsi però nei prossimi mesi: le piccole imprese stanno infatti soffrendo in maniera più acuta il perdurare della recessione e molte, data l’impossibilità di potere ridurre i costi fissi oltre una certa soglia rischiano di chiudere. Lo stesso governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha sottolineato come a soffrire la crisi siano soprattutto le imprese con meno di venti addetti e quelle che, operando in qualità di subfornitrici di imprese maggiori, da cui subiscono tagli degli ordinativi e dilazioni nei pagamenti rischiano la chiusura.
D. Come valuta l’azione svolta finora e i provvedimenti annunciati dal governo?
R. Per contrastare la crisi, il governo ha varato provvedimenti in materia di credito, lavoro, fiscalità e politiche industriali, apprezzabili nelle intenzioni e negli obiettivi, ma, in assenza di sufficienti coperture finanziarie, incapaci di incidere significativamente sulle difficoltà reali del paese. In questi giorni il governo ha annunciato l’ipotesi di ulteriori interventi attraverso una manovra estiva. In particolare si tratterebbe di una riedizione della Tremonti-bis sulla detassazione (probabilmente parziale) ai fini Ires e Irpef degli utili reinvestiti dalle imprese. In una fase in cui gli investimenti sono calati forse sarebbe più opportuna una diversatassazione degli utili non distribuiti (non reinvestiti) per sostenere il rafforzamento patrimoniale.
D. E sul fronte fiscale ritiene sia stato fatto abbastanza da parte dell’esecutivo?
R. Sul versante fiscale non mancano motivi di preoccupazione. Tra le imprese cresce il timore di dover corrispondere imposte sui ricavi stimati dagli studi di settore, ma difficilmente conseguibili in anni di crisi. Per il 2008, anche a seguito delle pressioni esercitate dalla nostra confederazione, il ministero dell’economia ha provveduto a elaborare dei primi correttivi per cogliere l’impatto della crisi sulle attività produttive e per permettere alle imprese non congrue di dichiarare i ricavi effettivi. E solo un primo passo. Per il 2009 la revisione dovrà infatti essere ancor più incisiva nella riduzione degli importi dei ricavi stimati in linea con la caduta dell’attività. E la prova del fuoco per gli studi di settore, che potranno avere un futuro solo se sapranno adeguarsi con tempestività ai mutamenti congiunturali.
D. Adeguare l’intervento politico pubblico alle esigenze delle pmi è uno dei principi guida dello Small business act, l’iniziativa lanciata lo scorso anno dalla Commissione europea per rafforzare la crescita e la competitività delle pmi. Come può essere applicato questo principio nel nostro paese?
R. La pubblica amministrazione deve utilizzare tutte le leve, e non solo quella fiscale, per stimolare la ripresa. Un punto di partenza è l’attuazione delle sollecitazioni della Commissione europea, contenute nello Small business act, in tema di accesso delle piccole imprese agli appalti pubblici. Si tratta di garantire loro una quota delle forniture e dei lavori pubblici e invertire il meccanismo che affida gli appalti a un general contractor. Le amministrazioni pubbliche, nell’ambito della propria discrezionalità, richiedono infatti le stesse procedure per grandi infrastrutture e piccole opere, penalizzando le piccole imprese anche quando avrebbero le caratteristiche e le capacità progettuali.
L’attuale contesto normativo relega quindi le
piccole imprese nel recinto del subappalto, senza alcun sistema di garanzie. È l’appaltatore che determina quindi i prezzi, i margini di guadagno e le condizioni di pagamento delle imprese che eseguono i lavori.
D. Sbloccare i crediti che le imprese vantano nei confronti della pubblica amministrazione: è uno dei cavalli di battaglia della CNA. Quali sono le misure che il governo dovrebbe adottare per uscire dall’impasse?
R. Sul fronte dei pagamenti, in generale invitiamo il governo a operare in due direzioni. Da un lato, deve intervenire per assicurare l’applicazione della normativa che ne sanziona i ritardi e che riconosce un importante ruolo alle associazioni a tutela degli interessi collettivi, ruolo che la CNA intende esercitare attivamente. Dall’altro deve impegnarsi a rispettare i tempi di pagamento e ad accelerare lo sblocco dei debiti contratti con i fornitori, assicurando la trasmissione della liquidità su tutta la filiera. Per ridurre l’impatto sul debito pubblico la CNA sta da tempo sollecitando il governo a consentire la compensazione dei crediti certi ed esigibili con tutte le posizioni debitori e nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali ponendo stato e cittadini sul medesimo piano.
D. Nonostante i ripetuti allarmi lanciati dalle organizzazioni imprenditoriali, l’accesso al credito resta uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo delle piccole imprese. Ci sono novità su questo fronte?
R. Occorre ribadire che la relazione tra banche e imprese è andata progressivamente peggiorando. Non è una novità che la nostra confederazione ha assunto una posizione critica nei confronti delle banche. Riteniamo infatti che le piccole imprese siano discriminate nell’accesso al credito, rispetto al resto del sistema produttivo.
Giova a tal fine ricordare che il credito erogato alle piccole imprese rappresenta appena il 20% del totale degli impieghi al sistema produttivo. Inoltre, mentre negli ultimi mesi il credito alle imprese più grandi ha continuato a crescere, quello destinato alla pmi si è invece ridotto in termini assoluti. E ciò nonostante la dinamica delle sofferenze appaia non significativamente influenzata dalla dimensione aziendale. Il comportamento fin troppo prudente delle banche ha impedito in questi mesi la piena trasmissione al sistema produttivo di una politica monetaria molto accomodante. La qualità del credito per le piccole imprese si è così deteriorata alla luce del progressivo ampliamento degli spread tra tassi attivi e passivi, dell’allungamento dei tempi di concessione e della richiesta di garanzie sempre più onerose. Non ultimo, rileviamo che l’effetto positivo dell’eliminazione della commissione di massimo scoperto è stato in sostanza vanificato dall’introduzione di nuove voci di costo sui fidi di conto corrente. Di fronte a questa situazione riteniamo che si debba valutare l’opportunità di rivedere i criteri di Basilea 2. L’obiettivo è quello di coniugare alla sana e prudente gestione bancaria nuovi criteri di valutazione del merito creditizio delle piccole imprese, criteri che tengano in considerazione l’affidabilità e la reputazione dei richiedenti sulla base di dati qualitativi, che possono essere recuperati solo attraverso un forte legame col territorio.

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